Il paesaggio dell'abbandono nel Massiccio del Grappa (settore nord-orientale)

Titolo:      Il paesaggio dell'abbandono nel Massiccio del Grappa (settore nord-orientale)
Categorie:      Monografie
LibroID:      MON-xx
Autori:      Mauro Varotto
ISBN-10(13):      00001
Editore:      CAI
Data pubblicazione:      1999
Number of pages:      101
Lingua:      Italiano
Prezzo:      0.00
Valutazione:      0 
Immagine:      cover
Descrizione:     

PREFAZIONE

È con molto piacere, ma anche con un certo imbarazzo, che presento questo secondo lavoro edito dal Gruppo di lavoro per lo studio dei segni dell'uomo nelle Terre Alte del Comitato Scienti-fico Centrale del Club Alpino Italiano. Il precedente lavoro, I segni dell'uomo sulle montagne di Feltre edito nel 1995, è stato il primo tentativo di presentare i risultati di ricerche fatto secondo gli intenti «Terre Alte». Da allora, troppi anni sono passati per giungere a questa nuova pubblicazione che si presenta con una veste tipografica molto diversa. I programmi futuri prevedono una collana di monografie a cadenza annuale dove verranno presentati i risultati delle ricerche effettuate sia da gruppi di lavoro nati in seno a Sezioni CAI sia da gruppi di ricerca universitari che avranno in comune le metodologie di studio proposte dal Gruppo «Terre Alte». Questo lavoro della nuova serie è un tipico esempio di collaborazione tra un'istituzione scientifica universitaria, il Dipartimento di Geografia dell'Università di Padova, ed il Club Alpino Italiano e rientra perfettamente negli intenti che fecero nascere nel 1991 il gruppo di lavoro il cui scopo principale è quello di salvare il patrimonio culturale montano (nel senso più ampio del termine) dalla minaccia di estinzione, causata in primo luogo dal lento ma inesorabile esodo dell'uomo dalle montagne. L'abbandono degli insediamenti storici in quota, diventati scomodi e scarsamente «produttivi» in base agli attuali criteri economici, ha come principale e deleteria conseguenza proprio la loro rapida scomparsa. Quante vallate alpine ed appenniniche sono attualmente punteggiate da borghi, alpeggi, casolari ed altri manufatti abbandonati ed in parte già crollati? Quanti segni dell'opera dell'uomo nelle terre alte (terrazzamenti, sentieri, canali di irrigazione, ponti, fontane, edicole votive, dipinti su roccia, reperti archeologici ecc.) sono sul punto di essere cancellati? Sono sufficienti relativamente pochi anni per rendere illeggibili questi «segni dell 'uomo», con una perdita culturale irreparabile, se essi non vengono adeguatamente protetti o perlomeno censiti e documentati. Risulta evidente che le zone alpine ed appenniniche hanno svolto per secoli la funzione di aree di transito, collegamento e scambio tra differenti ambiti culturali: le civiltà dell'Europa cen-tro-settentrionale hanno potuto venire a contatto con le sedi della cultura mediterranea attraverso quel complesso sistema di vie di comunicazione «tran-alpe» che hanno caratterizzato un'epoca. D'altra parte, le catene montuose, con le loro accidentate morfologie, hanno nel contempo favori-to il conservarsi di ben precise fisionomie culturali. L'insieme di tutte queste circostanze ha fatto sì che si formasse un profondo sostrato culturale la cui complessità non ha riscontro in altre zone europee. La cultura delle genti montane assume così una preziosa funzione di sintesi delle antiche civiltà europee, con la sua commistione di miti, usanze, credenze ed idiomi che sono altrove andati perduti. Un contesto, quello montano, perciò, estremamente diversificato e di grande rilevanza testimoniale: accanto ad ataviche espressioni del più antico retroterra culturale (anche di origine protostorica) convivono, infatti, istanze di civiltà centro-europee conservatesi in apparente isola-mento, grazie alle quali è ancora oggi possibile riscoprire ed ascoltare messaggi altrove «silenziati» o, peggio, cancellati dall'evolversi dei «tempi moderni». Questo plurisecolare background trova piena espressione nei segni che l'uomo ha lasciato sul territorio: alcuni costituiscono autentici testi di cultura non scritta, specchio di un particolare momento della nostra civiltà, come quelli che rientrano nel patrimonio toponomastico e linguistico, destinato ad una rapida estinzione e/o sostituzione.

Alla luce di tali considerazioni, non è esagerato definire taluni insediamenti alpini come condensati di messaggi, di linguaggi e di conoscenze direttamente trasmesse dalle forme e dall'ornato del costruito: simboli e pietre scolpite «beneauguranti» e segni della civiltà cristiana innesta-ti sui residui del più antico paganesimo; usi, costumi, abitudini, credenze e superstizioni; insospettate soluzioni tecnologico-costruttive che non hanno finito di insegnare anche alla nostra «civiltà del cemento». Tuttavia, una parte importante del patrimonio culturale montano rientra anche nei cosiddetti «segni non visibili»: si tratta delle vestigia archeologiche che si celano nel sottosuolo alpino e che ci informano sul modo di vita, sullo sfruttamento dell'ambiente in relazione alle varie fasi climatiche che si sono succedute nel tempo, sull'uso delle vie di transito e dei passi alpini da parte delle popolazioni passate, dalla preistoria all'età medievale. Tutto questo deve partire da una dettagliata analisi storico-naturalistica della presenza umana, cercando di capire, mediante studi di tipo multidisciplinare, l'esatto rapporto uomo-ambiente, perché il fenomeno «presenza umana in quota» è tutto basato su questo binomio. La comprensione di tale problema è, sicuramente, di capitale importanza per capire le cause che hanno spinto l'uomo in montagna. Certo, alcune motivazioni possono anche non valere più per il presente; tuttavia, una volta che saranno state identificate tutte le complesse ragioni che hanno spinto l'uomo a colonizzare la montagna, potrà, forse, essere possibile individuare l'esistenza di qualche motivazione che, mutatis mutandis, risulti ancora perfettamente attuale. Per salvaguardare un patrimonio culturale indispensabile alla crescita armonica dell'uomo era doveroso perciò reagire al continuo degrado in atto delle zone montane. Non era accettabile, infatti, né per la comunità scientifica né per il CAI tollerare un simile stato di cose senza cercare di porvi un qualche rimedio: ed è con tale intendimento che nel 1991 viene costituito il Gruppo di lavoro «Terre Alte», su idea di Giuliano Cervi. Tale iniziativa, aperta non solo ai soci CAI ma a tutte le persone interessate, è nata con queste principali finalità: — non permettere che la memoria del grande patrimonio culturale montano possa rischiare di non venire tramandata alle generazioni future; — promuovere un ritorno della presenza umana in quota non intesa unicamente come dissennato sfruttamento turistico delle risorse ambientali alpine. In seguito è nato anche un Progetto Strategico del Consiglio Nazionale delle Ricerche denominato Terre Alte che persegue le stesse finalità e ha interessato le Università di Genova, Milano, Ferrara e la Sede Centrale del Club Alpino Italiano.


ANTONIO GUERRESCHI

Comitato Scientifico Centrale del Club Alpino Italiano Gruppo di lavoro Terre Alte Progetto Strategico CNR Terre Alte Università di Ferrara

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